Ralph Waldo Emerson – Saggista statunitense.
Nei secoli scorsi le sindromi influenzali nell’umanità non erano mai state messe in relazione con le influenze animali. Di recente sta invece avvenendo in un modo che può apparire anche allarmante.
Ma è davvero il caso di allarmarsi? Si tratta di vero allarme o solo di allarmismo?
Cerchiamo di fare chiarezza.
Innanzitutto dobbiamo per prima cosa capire se l’informazione che ci viene fornita proviene direttamente dal mondo scientifico o se invece è stata manipolata da giornalisti che vogliono aumentare il numero dei lettori, partendo magari da un titolo ad effetto e contenuti dai toni appunto allarmistici.
Solitamente gli scienziati, epidemiologi e virologi, quando analizzano i dati sull’evoluzione delle epidemie, valutano sia la diffusione degli agenti patogeni che le loro mutazioni genomiche. Sulla base di questi dati, cercano di ipotizzare possibili scenari futuri, prendendo anche in considerazione informazioni e dati provenienti da precedenti esperienze sulla malattia studiata.
Tuttavia, nonostante l’utilizzo di accurati modelli matematici e di precisi dati epidemiologici, non sempre in passato alcune previsioni pessimistiche fatte dagli scienziati si sono concretizzate con l’attesa gravità.
Molti ricordano la cosiddetta “influenza mediatica” e qui la ricordiamo in sintesi: nel 2005 una diffusione eccessiva di timori nei confronti di un precursore dell’attuale ceppo H5N1 di Influenza Aviaria, causò un ingiustificato crollo dei consumi dei prodotti dell’avicoltura che interessò, con vari livelli di gravità, tutte le nazioni occidentali, senza che ci fosse un reale pericolo per la popolazione umana.
Anche le previsioni iniziali sulla gravità della pandemia da A/H1N1 nel 2009 si sono rivelate eccessive, e hanno indotto ad acquistare vaccini e farmaci antivirali in quantità ingiustificate.
Questo motto ben si adatta alla biologia: i virus e i batteri sono organismi complessi che possono mutare rapidamente e adattarsi all’ambiente e agli ospiti, ma possono anche estinguersi velocemente, rendendo a volte difficile prevedere l’evoluzione degli eventi.
Proprio partendo da queste constatazioni possiamo valutare con oggettività le informazioni che riceviamo dal mondo scientifico. Sappiamo bene che i germi patogeni nella stragrande maggioranza dei casi si sono adattati a specifici ospiti, con i quali, spesso da tempo immemorabile, convivono più o meno pacificamente, riuscendo così a sopravvivere in natura.
Occasionalmente, la loro patogenicità riesce anche a manifestarsi verso altre specie non considerate specificatamente un loro bersaglio, dando origine al cosiddetto “spill over”, ovvero la diffusione della malattia da una specie a un’altra.
Il superamento della barriera di specie solitamente non avviene con facilità, e una volta raggiunto, non è indolore per la nuova specie ospite, che si trova a dover combattere un organismo praticamente sconosciuto.
Tuttavia, affinché possa verificarsi lo “spill over”, è necessario che all’agente patogeno venga data la possibilità di avere contatti e di infettare la nuova specie ospite e, se parliamo di virus influenzali, le condizioni nelle quali vivevano i nostri avi in ambienti rurali, a stretto contatto con diverse specie animali, spesso in situazioni di sovraffollamento, di scarsa igiene e senza mettere in atto alcun tipo di prevenzione, favorivano i contagi e i fenomeni evolutivi del virus e, proprio per questo, nel corso dei secoli, l’umanità è stata colpita in media ogni 20 o 30 anni da epidemie o pandemie influenzali che causavano milioni di morti.
Al giorno d’oggi (2025), il rischio di una nuova pandemia dovuta a virus che provengono da animali deve certo essere sempre tenuto presente. Tuttavia, rispetto a quanto avveniva in passato, abbiamo più di un motivo per essere fiduciosi. Perché?
Innanzitutto, contrariamente a quanto le associazioni animaliste sostengono e divulgano con articoli distorti da ideologie, se la promiscuità tra l’uomo e gli animali è molto diminuita lo dobbiamo proprio agli allevamenti intensivi, nei quali un uomo solo accudisce decine di migliaia di animali e, proprio grazie agli allevamenti intensivi, la maggior parte della popolazione vive in zone urbanizzate riducendo fortemente il rischio di infezione umana o di “spill over”.
Inoltre, negli allevamenti intensivi si fa prevenzione, le persone indossano indumenti protettivi, vengono fatti periodici monitoraggi, ogni sintomo sospetto viene prontamente analizzato e, qualora il sospetto della presenza di un virus influenzale fosse confermato, la malattia sarebbe prontamente eradicata.
Tutto questo in passato non accadeva e l’umanità subiva passivamente le conseguenze dell’evoluzione naturale dei virus.
Oltre a questi punti, oggi (2025) le tecniche di analisi genomica permettono di conoscere ogni piccola mutazione dei virus, capire se tali mutazioni stanno avvicinando i nuovi ceppi alla specie umana e adottare anticipatamente adeguate misure di prevenzione.
Anche se si verificasse la malaugurata ipotesi dell’adattamento di virus influenzali di origine animale alla specie umana, i vaccini per contrastarli sono già stati studiati e possono essere velocemente messi a disposizione, senza dimenticare che l’efficacia dei farmaci antivirali, da somministrare in caso di infezione è molto migliorata negli anni.
A questo punto, tornando alla domanda iniziale, è davvero il caso di allarmarsi?
Gli argomenti sopraesposti dovrebbero rassicurarci e suggerirci certo di continuare, ma senza allarmismi, a sorvegliare con attenzione i cambiamenti dei virus influenzali, soprattutto per quegli aspetti che riguardano la loro affinità verso i mammiferi, che in genere precede il salto di specie verso l’uomo.
Allo stesso modo dobbiamo però continuare a ridurre il contatto tra animali infetti e l’uomo, mettendo in atto le misure di prevenzione previste dai numerosi manuali operativi disponibili nei diversi paesi del mondo.
È anche importante ricevere/cercare informazioni e aggiornamenti da fonti che siano sicuramente attendibili e imparziali come ad esempio:
il Center for Diseases Control and Prevention (CDC – USA)
https://www.cdc.gov/index.html
o l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC – EU)
i cui link dedicati al tema di questo articolo abbiamo riportato qui sotto:
https://www.cdc.gov/bird-flu/situation-summary/index.html