Disinformare è più facile

Informarsi correttamente è difficile, soprattutto quando si tratta di allevamenti avicoli protetti, che molte organizzazioni di attivisti prendono di mira con strategie di realtà alterata strumentalmente.

Per loro è più facile disinformare perché altrimenti dovrebbero raccogliere molti più dati e fare molte più valutazioni che dovrebbero essere scientificamente sostenibili.

Se si vuole informare su un argomento complesso in tutte le sue sfaccettature, bisogna essere il più precisi possibile.

A proposito di avicoltura, gli interventi di attivisti anti-allevamento sono frequenti, su diversi media e hanno tutti una caratteristica: mai un’analisi reale, approfondita e attendibile del funzionamento del sistema avicolo, ma piuttosto una demonizzazione sempre aprioristica dello stesso.

Ad amplificare l’effetto della denuncia c’è sempre un’altra costante: l’assenza della controparte.

L’industria avicola nel suo complesso non risponde anche perché:

  • non viene interpellata, ma solo “spiata”,
  • ritiene che gli attivisti non abbiano tutto il seguito che le loro notizie sembrano suscitare.
  • sottovaluta gli attivisti
  • considera gli attivisti e le loro iniziative delle fiammate autoestinguenti.

Tuttavia, queste “fiammate” si moltiplicano e si perfezionano nel tempo, fino a produrre documenti filmati aggregati in documentari trasmessi a Bruxelles e poi nei cinema, amplificando di fatto la sua frequenza e la qualità dell’impatto.

Stante così le cose e in assenza di una narrazione alternativa, il pubblico – che sia o meno consumatore di polli e uova – sta iniziando a credere che il silenzio corrisponda all’assenso e, seppur per ora in percentuali non percepibili dal mercato, sta acquistando con minore convinzione anche se il consumo di pollo appare in crescita perché soggetto ad un “ricambio favorevole” dei consumatori che lo acquistano. Quelli che si allontanano o non si avvicinano vengono cioè sostituiti da quelli (in genere più giovani) che subentrano nel consumo.

Un ricambio che da una parte ha un effetto rassicurante nel comparto industriale cui interessano i numeri complessivi, che però non misurano il potenziale “perso” o “non ancora conquistato”.

Molto di questo ricambio si genera infatti non tanto per attrazione consapevole verso il settore avicolo, bensì “per merito” delle attività di marketing delle multinazionali del fast food per le quali il pollo è un ingrediente molto presente e variamente presentato nei loro menù, al punto che i giovani non percepiscono in piena consapevolezza che si tratta di pollo bensì un più generico e “appetitoso Menu XYZ”. Strategie efficaci che non risolvono però la fuga dalla carne di pollo di chi è spaventato dalle fake degli attivisti.

L’industria avicola nel suo complesso è un sistema organizzato a livello mondiale con uno scopo chiaro, ma poco dichiarato: fornire cibo sicuro, economico, nutriente e accessibile a milioni di consumatori in tutto il mondo.

Il “giornalismo di parte” diffonde invece argomenti che derivano da correnti di pensiero e associazioni, senza prendersi la briga di approfondire le diverse questioni che sarebbero accessibili semplicemente ascoltando gli attori principali del settore avicolo.

Ed è così che si genera la disinformazione, soprattutto su Internet dove è più facile trovare articoli che inducono il lettore a opinioni percepite come informazioni che sono invece immagini distorte della realtà, che enfatizzano alcuni aspetti nascondendone altri, inducendo quindi le persone ad aderire a opinioni piuttosto che a fatti. Ne abbiamo parlato anche qui:

https://nutriamocidibuonsenso.it/le-percezioni-vincono-purtroppo-sui-fatti-serve-un-nuovo-approccio/

https://moreaboutchicken.com/?s=perception

Le argomentazioni avanzate dalle associazioni anti-allevamento in merito al pollame e alla produzione avicola hanno lo scopo malcelato di abolire gli allevamenti e convincere la popolazione mondiale a consumare solo alimenti di origine vegetale.

Nei documentari, negli articoli e nelle varie dichiarazioni riportate dalle varie associazioni anti-allevamenti (avicoli), si trovano descrizioni sicuramente false, altre vere sebbene abilmente manipolate con elementi di suggestione e aggettivi enfatizzanti che distorcono la realtà e confondono il lettore traendolo in inganno.

Per esempio:

È certamente vero che i polli da carne (prevalentemente broiler) provenienti da allevamenti protetti crescono rapidamente e hanno uno sviluppo dei muscoli pettorali molto più elevato rispetto ad altre razze non selezionate per produrre carne.

Non è vero che i polli allevati in allevamento intensivo (protetto) non possano camminare: come potrebbero nutrirsi, abbeverarsi e avere l’elevato tasso di crescita così criticato? Questa è un’evidente contraddizione.

È vero che i polli degli allevamenti protetti consumano circa 3 kg di mangime, ma questo viene spesso descritto, con evidente intento dispregiativo, come un nutrimento “super bilanciato”, mentre in realtà quel mangime è un ottimo mangime, bilanciato con tutti i nutrienti necessari e perfettamente in grado di evitare qualsiasi fenomeno di carenza. Va anche sottolineato che il mangime fornito negli allevamenti è costantemente adeguato all’età e alla crescita dell’animale.

È fondamentale considerare che i polli d’allevamento di oggi crescono molto di più rispetto al passato, pur consumando naturalmente molto meno mangime (con 3 kg di mangime raggiungono un peso di 1,8 kg in meno di 40 giorni). Tecnicamente, questo si chiama efficienza e significa che i polli di oggi costano meno perché consumano meno. Puoi saperne di più qui:

https://moreaboutchicken.com/improvements-over-the-last-15-years-in-the-organic-efficiency-and-environmental-sustainability-of-conventional-chicken/

https://nutriamocidibuonsenso.it/lavicoltura-e-il-paradosso-della-ricerca-della-sostenibilita/

 

La rapida crescita dei polli ha permesso all’allevamento avicolo di diventare uno dei pilastri delle strategie della FAO per ridurre la fame nel mondo. La FAO stessa usa sempre il termine “agricoltura sostenibile” quando promuove strategie per aumentare la produzione agricola, ed evita accuratamente di schierarsi contro l’allevamento intensivo. Perché?

Molto semplice! Perché chiunque abbia familiarità con l’allevamento avicolo sa che i polli a crescita lenta (la cui adozione come alternativa ai polli da carne a crescita rapida è suggerita dagli attivisti contrari all’allevamento) sono meno sostenibili perché hanno un impatto ambientale significativamente maggiore rispetto all’allevamento convenzionale.

Ecco nel dettaglio perché:

  • Più spazio:i polli a crescita lenta e biologici hanno bisogno di più spazio per razzolare, circa 4 metri quadrati a testa. Questo porta a un maggiore utilizzo del terreno.

 

  • Indice di conversione alimentare:i polli a crescita lenta hanno un indice di conversione alimentare (FCI) molto più elevato rispetto ai polli a crescita rapida, misurato in numeri interi, non decimali: ciò significa che necessitano di più cibo per produrre la stessa quantità di carne. Questo non è un problema di poco conto, se consideriamo che anche una piccola diminuzione di questo indice (una sola cifra decimale) si traduce a livello globale in un maggiore consumo di terreno per la produzione di materie prime, pari alla superficie di Cipro.

 

  • I polli allevati all’aperto, a crescita lenta,presentano tassi di mortalità più elevati rispetto ai polli convenzionali, principalmente a causa di predatori e malattie (virali, batteriche e parassitarie), un problema significativo per l’efficienza e la sostenibilità di questo tipo di allevamento che solleva anche seri interrogativi sul reale benessere di questi animali. Essere predati non può essere annoverato tra gli ideali di benessere rivendicati dagli attivisti che rivendicano anche questi animali.

 

  • Inquinamento:la minore efficienza alimentare fa sì che i polli a crescita lenta producano molti più escrementi per chilo di carne prodotta. In media, il doppio. Inoltre, il deflusso degli escrementi negli appezzamenti all’aperto durante la stagione delle piogge provoca l’inquinamento delle acque superficiali cui diventa necessario ovviare con ulteriori investimenti da parte degli allevatori che graveranno sul consumatore.

 

  • Prezzo al pubblico: i polli biologici e a crescita lenta costano molto di più e quindi sono prevalentemente destinati a piccole nicchie di consumatori “più abbienti”, allontanandosi così dall’idea di essere una fonte di nutrimento “accessibile”.

 

  • Tanto rumore per nulla:dopo decenni di accuse calunniose sull’allevamento intensivo di pollame, la produzione biologica e quella a crescita lenta nell’UE rappresentano ancora solo l’8% o poco più della produzione avicola. Un motivo ci sarà.

Chi propone di allevare solo razze a crescita lenta non solo dimentica l’impatto ambientale che l’adozione di questo tipo di produzione causerebbe, ma che adottare una crescita lenta e prezzi elevati non sfamerà il mondo. L’incremento di 1 o 2€ al kg che la crescita lenta impone è anche sottostimato. Chi se lo può permettere non si preoccupa certo di coloro per cui è un costo troppo elevato e cioè per quella larga fascia di consumatori che nella vita vera fatica ad arrivare a fine mese con lo stipendio o la pensione.

Ancora più rilevante osservare che spingere scelte verso razze a crescita lenta non tiene in considerazione il fatto che l’aumento di 2€ al kg crea seri problemi di sostenibilità economica anche per le istituzioni dedicate a nutrire il mondo degli assistiti (RSA, Ospedali, Caritas e altre organizzazioni non governative).

Tuttavia, il mondo della produzione avicola è in grado di adattarsi a tutte le esigenze, anche a quelle più folli. Se desiderate un pollo allevato per un anno, l’industria avicola può fornirvelo, a patto che siate disposti a pagare 10 volte di più rispetto al pollo tradizionale, sapendo che quel pollo ha un impatto molto elevato sul pianeta.

Se l’industria avicola mondiale non si lascia turbare da richieste speciose e infondate, renderà l’accesso alla carne e alle uova sempre accessibile e rispettoso dell’ambiente.

Ma se gli attivisti insistono nel diffondere notizie false, ci aspettiamo che i consumatori reagiscano presto a ciò che dicono gli attivisti… che non si sono mai impegnati a produrre cibo per il mondo.

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Autore: Staff