Nonostante il pollame sia diventato la principale fonte di carne e il suo contributo all’alimentazione umana sia in aumento (“Il pollame è la specie animale domestica più diffusa al mondo (FAO)”), puoi fare tutta la pubblicità che vuoi a un pollo o a un uovo, ma se manca la corretta informazione su come funziona la filiera che serve a fornire polli e uova per l’alimentazione umana, è sufficiente che arrivi al pubblico qualche filmato o qualche testo strumentalmente costruito con toni drammatici, per far apparire come un’entità malvagia il comparto avicolo professionale.
L’atteggiamento delle organizzazioni che contrastano gli allevamenti avicoli protetti (altrimenti definiti intensivi, ma che più corretto sarebbe definire “protetti” https://nutriamocidibuonsenso.it/cosa-sa-chi-critica-gli-allevamenti-avicoli/) è infatti, a ben vedere, il risultato dell’incrocio fra ideologia e scarsa volontà all’approfondimento scientifico.
Basterebbe un dialogo aperto e una comunicazione serena per giungere con meno patemi d’animo e fastidiose interferenze, anche paradossali, a perfezionare le già elevate attenzioni al benessere animale che il comparto avicolo affina anno su anno e che hanno portato ad un incremento costante di efficienza biologica e sostenibilità ambientale.
Negli ultimi anni, solo per fare un esempio, il settore ha selezionato polli che per raggiungere un peso di 2,5 kg, consumano mezzo chilo di mangime in meno rispetto al 2010, che si traduce in una riduzione del 37% del terreno necessario per la produzione, appunto, del mangime. Dati destinati a migliorare anno su anno proprio per il costante impegno del comparto avicolo di occuparsi del benessere animale.
Non va dimenticato infatti che l’avicoltura ha l’obiettivo di rendere disponibili alimenti che siano contemporaneamente sani, nutrienti ed economicamente accessibili ai più. Ed è anche necessario considerare il fatto che proprio la ricerca di ottenere dei ritorni economici da questo tipo di impresa, produce in modo collaterale (poco conosciuto) un costante incremento del benessere animale… che è tuttavia il tema più attenzionato sia dal comparto che dai suoi detrattori.
Si riflette raramente sul fatto che la qualità delle attenzioni studiate per aumentare gli standard di benessere animale, motivate dalla necessità di rendere anche remunerativo il dedicarvisi, si traduce “automaticamente” in animali sani e “in carne” perché “obbliga” il settore a studiare soluzioni che, essendo orientate a bilanciarsi economicamente, sono anche di conseguenza portate a mantenere l’animale sano e quindi ad agire per il suo benessere.
Non solo.
L’avicoltura è un settore in cui sono presenti aspetti di sostenibilità noti purtroppo solo tra gli addetti ai lavori, concentrati più a fare che a dire. Una sostenibilità messa a rischio paradossalmente proprio da ideologie ambientaliste e animaliste che, anche quando sono comprensibili e rispettabili, vengono condotte con approcci ostili e spesso anche con una certa forma di malcelata codardia evidenziata dal fatto che questi gruppi organizzati, mossi anche da intenti potenzialmente positivi, non costruiscono percorsi diretti di dialogo con i veri protagonisti del comparto, bensì con gli utilizzatori intermedi (trasformatori, GDO, catene di ristorazione…).
Le ostilità fra animalisti/ambientalisti e il comparto avicolo fanno quindi fatica a risolversi per via dello scontro fra scienza e ideologia. In entrambe gli ambiti si potrebbero fare molti più passi in avanti costruendo un dialogo consapevole dei limiti e dei difetti presenti da entrambe le parti, con l’obiettivo di trovare soluzioni condivise, a patto però che gli aspetti scientifici e di ricerca siano stimolati verso soluzioni raggiungibili che non sono certo identificabili con le ideologie e le strumentalizzazioni.
Oggi invece gli animalisti, non essendo portatori di contenuti scientifici, mancando di visioni d’insieme e avendo la tendenza a usare solo la “pancia”, si manifestano come un’entità avente come unico obiettivo finale la chiusura di tutte le attività di allevamento. Ovvio quindi che da una parte si innalzi spontaneamente un muro a difesa e che, dall’altra parte, questo muro venga semplicemente considerato un ostacolo.
Serve mediazione, e proprio per questo serve dialogo e comunicazione corretta e imparziale. Ne godrebbero anche lo spessore e la credibilità dei contenuti della pubblicità di questo settore che ad oggi è invece francamente imbarazzante per la banalità con cui si esprime e soprattutto per l’assenza delle informazioni che https://moreaboutchicken.com/ e https://nutriamocidibuonsenso.it/ si stanno impegnando a dare.
Questi temi che creano conflittualità si sviluppano un po’ ovunque e in alcuni Paesi vengono affrontati anche in modi diversi. Per esempio, laddove si palesa un eccessivo accanimento distruttivo e irrazionale da parte delle organizzazioni, alcuni governi intervengono.
In Australia, per esempio, alla camera dei rappresentanti del parlamento australiano è stata presentata una proposta per tutelare gli allevatori dai danni causati dagli attivisti animalisti che spesso irrompono causando danni alle proprietà ed esponendo gli allevamenti a contaminazioni batteriche e infezioni portandole inconsapevolmente, ma anche irresponsabilmente, dall’esterno. Il progetto di legge prevede una modifica del Codice penale, con pene fino a cinque anni di reclusione per chiunque entri abusivamente in un allevamento, compia danni o furti alla proprietà o inciti altri a farlo. Sarà reato -in Australia- anche la realizzazione e trasmissione di video o foto, con deroghe solo per i giornalisti che realizzino reportage di comprovato interesse pubblico: https://www.alimentando.info/australia-proposta-di-legge-per-tutelare-gli-allevatori-dai-danni-degli-animalisti/