Gli inglesi mangeranno anche male, ma almeno ne sono consapevoli. E anche da loro, come in altri Paesi, ci sono gruppi di persone più consapevoli di altre nel cogliere la stretta relazione fra l’obesità, soprattutto infantile, e il cibo spazzatura.
Alcune persone però agiscono e, con una certa sottile intelligenza, analizzano quali possano essere le cause più subdole del semplice fatto che, se mangi troppo spesso cibo spazzatura e bevande iper zuccherate, diventi obeso … che è una correlazione ormai assodata di cui sono testimoni “di peso” gli americani… vedere per credere.
Qualcuno quindi ha cominciato a chiedersi perché le persone (soprattutto giovani e giovanissimi) siano così attratte dai junk food di ogni tipo.
La risposta è che, con buona evidenza, una delle cause sia la pubblicità di quel genere di prodotti, che nella quotidianità degli individui è particolarmente presente, insistente, ammiccante e persuasiva.
Pare quindi si siano accorti che la pubblicità dei prodotti ultra processati ( https://it.wikipedia.org/wiki/Cibi_ultralavorati ) è uno strumento che funziona, … ma che funziona meno se ne limiti il suo potere pervasivo.
Diventa quindi un atto responsabile e opportuno per la salute, limitarla quando il suo effetto “commercialmente positivo” (quello richiesto dalle aziende inserzioniste) genera effetti collaterali socialmente negativi che, servisse sottolinearlo, riguardano la salute delle persone (soprattutto dei giovani e giovanissimi) e quindi impattano negativamente anche sul sistema sanitario che, a sua volta, genera incremento di produzione e uso di medicinali… e via così.
Boris Johnson, primo ministro inglese fino al 2022, durante la sua permanenza al governo aveva formalizzato la presentazione di un progetto di legge che prevedeva di vietare la pubblicità televisiva dei prodotti alimentari e delle bevande più caloriche, prima delle ore 21.00. Doveva entrare in vigore dal 2023 impedendo la trasmissione di spot di quel genere di prodotti in tv.
Il fragore della notizia venne amplificato dal fatto che il provvedimento coinvolgeva anche il web (non occuparsene sarebbe stato miope) e tutte le forme di marketing digitale a pagamento, le inserzioni su Facebook, Instagram, Twitter e i risultati di ricerca a pagamento su Google.
Fa effetto notare che venne vissuto come un “terremoto commerciale” anziché un benefico intervento orientato a ridurre le tentazioni verso i junk food con lo scopo dichiarato ed evidente di produrre benefici per la salute pubblica.
Fortunatamente la cosa non è morta lì e dal primo ottobre 2025, nel Regno Unito, gli spot di questo tipo di prodotti sono vietati prima delle 21.00, per tutelare soprattutto bambini e ragazzi, bersaglio principale di alimenti che – secondo le denunce di medici e organismi sanitari – minacciano la salute dei consumatori e contribuiscono a moltiplicare i casi di obesità, inclusa quella giovanile che, nel Regno Unito come in molti altri Paesi occidentali, è in crescita.
Il divieto è stato formalizzato dal nuovo esecutivo laburista in un documento sottoposto alla Camera dei Comuni dal viceministro della Sanità, Andrew Gwynne, che ha dichiarato la necessità di “affrontare il problema senza ulteriori rinvii”.
Non è direttamente calcolabile l’impatto -pur se ampio- che ha l’obesità sulle strutture sanitarie e sull’intera comunità. Si potrebbe però dedurre osservando i dati terribili che colpiscono gli USA dove l’obesità colpisce il 42% degli abitanti mentre il 31% è sovrappeso e dove, non a caso, si è creato il mercato più importante per il nuovo “farmaco della magrezza”.
È invece più facile calcolare le sofferenze di chi su quei passaggi pubblicitari ci conta. Nel Regno Unito si spendono annualmente circa 400mln di sterline solo per la pubblicità online di food e di questi si stima che circa 200 potrebbero essere i milioni di mancato incasso per le varie emittenti del Paese.
L’industria alimentare e quella editoriale han fatto sapere che non staranno a guardare. Una specie di minaccia che sa anche di ammissione.
In “casa nostra” le cose potrebbero arrivare ad imitare quel genere di provvedimenti, anche se già si osservano commenti di noti rappresentanti del panorama pubblicitario che si spingono a commentare come sia incredibile che una storica democrazia possa imporre alla gente e alle aziende dei limiti alimentari e di comunicazione. A costoro sarebbe necessario far notare che, quanto accade nel Regno Unito, non è un’imposizione su come nutrirsi (che semmai deriva dalla grande efficacia del martellamento pubblicitario di chi tende a imporsi a scapito di altri) e che invece, il “quando e quanto” comunicare, riguarda un consapevole argine orario, molto simile alla nostra ipocrita “fascia protetta”.
Ogni cosa che porti con sé potenziali controindicazioni dovrebbe sempre contenere una forte dose di responsabilizzazione sociale che, laddove mancasse, andrebbe allora “imposta”.
Pagare spazi è un privilegio di pochi. Chi popola il mondo della comunicazione, non solo quella commerciale, dovrebbe essere sempre consapevole anche della sua responsabilità sociale.
In Italia l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) è solo un esempio, tuttavia perfettibile, di quanto sia sempre più necessario introdurre qualcosa di simile ad un governo di quel mondo parallelo che chiamiamo pubblicità.
Nel frattempo in Italia è in corso sottotraccia un cambiamento epocale nelle abitudini alimentari: nuovi alimenti, diversi modi di cucinare e di consumare il cibo, una corsa sfrenata ad abitudini alimentari estreme dall’iperproteico al vegano, dal crudismo all’iperprocessato, dal digiuno al nibbling (in inglese significa letteralmente “sminuzzare” o “spiluccare” il cibo. Si tratta di un comportamento alimentare disfunzionale, che si basa sul consumo frequente e irregolare di piccoli spuntini, spesso ad alto contenuto calorico e poveri di nutrienti, senza una reale fame o necessità).
Sull’impatto sulla salute di questi nuovi modi di nutrirsi si sa poco. Gli studi epidemiologici che indagano la dieta degli italiani in relazione alla salute risalgono ad almeno vent’anni fa. La maggior parte delle recenti evidenze epidemiologiche su dieta e salute vengono da studi datati o condotti in paesi molto lontani dal nostro e con abitudini molto diverse.
Un progetto di ricerca che potrebbe coprire questo gap e che potrebbe rispondere a tante domande non ancora risolte è condotto da un’importante Istituto pubblico da sempre in prima linea per la prevenzione e la cura del cancro. Si tratta dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano che con l’interessante studio YouGoody https://www.yougoody.it/ invita gli italiani a partecipare in gran numero al proprio panel per riuscire a fotografare le abitudini alimentari vecchie e nuove e individuare quali siano quelle associabili ad un minor rischio di sviluppare un tumore e, più in generale, al mantenimento di un buono stato di salute.
Pietro Greppi +39 3351380769
Ethic advisor
Creator of the new paradigm in the poultry sector founder of – www.moreaboutchicken.com – www.nutriamocidibuonsenso.it – www.ioetesiamopari.it
Scarp de tenis – the first Italian street newspaper dedicated to the homeless