Se il pollo resta più a lungo in un allevamento è ovvio che il suo costo per il consumatore sarà maggiore.
Non fosse evidente proviamo a spiegarlo meglio facendo ricorso anche alla Storia degli allevamenti che pochi conoscono e collegata al periodo del dopo guerra (1948):
La carne di pollo ha un costo contenuto, ma in diversi supermercati si trovano confezioni provenienti da razze avicole “a crescita lenta” vendute a prezzi dal 30 al 100% in più. Perché?
Si tratta di razze meno efficienti rispetto a quelle convenzionali: le loro caratteristiche genetiche richiedono tempi più lunghi affinché possano crescere e questo comporta costi di mantenimento maggiori, quindi più cibo, più acqua, più spazio nei capannoni…
Per capire ancora meglio, come accennato, dobbiamo andare indietro nel tempo.
C’è una data che ha stabilito la svolta negli USA ed è il 1948. Fino a quel momento le razze che nei secoli si erano sviluppate nel mondo erano il risultato delle continue selezioni naturali dovute a incroci spontanei e a scelte fatte dai singoli allevatori per il loro approvvigionamento alimentare o per il piccolo commercio. A quel tempo si contavano nel mondo almeno 300 razze avicole.
In Italia le più note erano e sono ancora le Ancona, Bianca di Saluzzo, Ermellinata di Rovigo, Livorno, Modenese, Padovana, Scodata, Siciliana, etc. … tutte razze selezionate nei secoli per aumentare la produzione di uova.
La carne di pollo era un argomento marginale che interessava solo le galline vecchie e i pulcini maschi. Tutte queste razze oggi sono classificate come “rustiche”, in contrapposizione alle razze ibride moderne.
Una parte dei polli considerati rustici proviene anche oggi da queste razze selezionate artigianalmente nel passato, come illustrato nel gennaio 1921 dal National Geographic
https://www.nationalgeographic.com/environment/article/poultry-food-production-agriculture-mckenna
L’invito a selezionare le razze più efficienti, fu determinante per lo sviluppo delle tecniche di allevamento.
Le due guerre mondiali aprirono emergenze che impattarono sul sistema di approvvigionamento alimentare, e si creò la necessità di soddisfare una maggior richiesta di carne per gli eserciti. Il problema fu in parte affrontato durante la rinascita economica grazie ad una sopravvenuta maggiore disponibilità di reddito.
Nel 1948 negli USA venne indetto un concorso per individuare il “pollo moderno” per la produzione di carne, ottenuto da ibridazione delle razze. Il concorso fu “il primo stimolo ufficiale” per ottimizzare il mondo dell’avicoltura.
L’invito a selezionare le razze più efficienti, fu uno stimolo importante che diede inizio allo sviluppo delle tecniche di allevamento. Da quel momento prese vita “una competizione” che portò a un miglioramento del concetto di ibridazione e di conversione alimentare basata sulla risposta alla domanda “quanti kg di mangime servono per ottenere un kg di carne o di uova?”
Quella discriminante portò a cercare di rispondere alla crescente domanda di alimentazione mondiale prestando attenzione alla selezione di razze più efficienti sul piano della conversione alimentare.
Va ricordato che le razze preesistenti al 1948, che oggi vengono chiamate tradizionali, hanno continuato ad esistere perdendo però la loro importanza economica.
Proseguendo nella ricerca di ibridi il settore avicolo ottenne quelle che oggi vengono definite “razze convenzionali” caratterizzate da una velocità di crescita e da un’efficienza “imbattibile” se paragonata alle razze “rustiche”. Fra queste ultime vanno inserite anche quelle a crescita lenta richieste soprattutto dai consumatori (pochi) che hanno una particolare concezione del benessere animale e apprezzano aroma, sapore e consistenza della carne di questi animali che rimandano all’idea di un pollo della “fattoria della nonna”.
Per anni la selezione delle razze convenzionali a crescita rapida si è focalizzata sulla minore mortalità, sulla maggiore resistenza alle malattie e sull’efficienza alimentare con la conseguenza di generare una minore impronta ambientale. L’avicoltura nel tempo è riuscita a ridurre significativamente l’uso di acqua, terreni agricoli, elettricità e altre risorse conseguendo al contempo migliori risultati commerciali. E questo lavoro di ricerca di un sempre minor impatto è costante e tuttavia -e purtroppo- praticamente ignoto al pubblico consumatore.
Oggi il pollo convenzionale a crescita rapida è arrivato a ridurre del 50% il proprio impatto per produrre gli stessi numeri del 1965, consumando il 75% in meno delle risorse necessarie, riducendo del 36% l’impatto sulle emissioni di gas a effetto serra, del 72% i terreni agricoli utilizzati e del 58% l’acqua utilizzata (operando sulla riduzione degli sprechi). Tutte “conquiste” in termini di sostenibilità rese possibili allevando razze convenzionali a crescita rapida.
Queste conquiste non sono ottenibili dai polli a crescita lenta che rappresentano tuttavia una quota ridotta del mercato europeo e che comportano costi e consumi molto più elevati. La percentuale di questo mercato è difficile da definire perché i criteri di allevamento sono disparati nei vari Stati e dipendono sempre dalla domanda.
La richiesta alternativa del Sud Europa (Spagna, Portogallo, Italia, Grecia) è maggiormente orientata verso elevate qualità organolettiche, concentrandosi su polli dall’ “aspetto tradizionale”, tendenzialmente colorati (cioè bruni più o meno uniformi).
La richiesta del Nord Europa è invece culturalmente più focalizzata sul benessere animale e l’utilizzo di esemplari a crescita più lenta che prevede che l’animale “non deve crescere più di 50 grammi al giorno”.
Ogni paese europeo ha delle proprie specifiche procedure per il riconoscimento di un tipo genetico come “a crescita lenta” per cui il termine “razza” in realtà è improprio, perché si tratta di genotipi (generati cioè da incroci fra razze). Tutte le informazioni volontarie che si trovano sulle etichette, ma non derivano da un obbligo di legge, per poter essere utilizzate in Italia devono essere inserite e regolamentate in un disciplinare di etichettatura delle carni di pollame autorizzato dal Mipaaf ai sensi del DM 29 luglio 2004. In Italia c’è un solo disciplinare, quello di Unaitalia, attivo dal 2005 che prevede, tra l’altro, l’informazione “genotipo a lenta crescita” o “genotipo a lento accrescimento”.
I genotipi utilizzabili attualmente sono solo 11, corrispondenti a quelli autorizzati con decreto del Mipaaf (sulla base di un parere espresso dal CREA – https://www.crea.gov.it/ ) che indica i requisiti da rispettare, come l’età minima di macellazione o la percentuale di cereali nella razione alimentare.
Oltre a questi si registrano i “genotipi a lenta crescita autorizzati per il biologico” per i quali, mentre negli altri paesi europei il criterio di attribuzione è quello dell’accrescimento giornaliero, in Italia è necessario un decreto di riconoscimento del Mipaaf (sempre a seguito di una valutazione da parte del CREA) che valuta, oltre agli accrescimenti giornalieri, anche l’attitudine degli animali a utilizzare gli spazi all’aperto.
Sono stati quindi riconosciuti come genotipi a lenta crescita utilizzabili per il biologico, 5 fra quelli già autorizzati per il disciplinare. In entrambi i casi (“genotipo a lenta crescita” in etichetta per prodotto non biologico e i genotipi a lenta crescita per il biologico) gli allevatori devono mantenersi all’interno di una filiera che sia in grado di valorizzare questa informazione.
L’utilizzazione di genotipi a lenta crescita sul mercato italiano è a livelli simili a quelli degli altri paesi europei, e si tratta tuttavia solo di una nicchia pur se in potenziale crescita. Si tratta, infatti, di prodotti particolari, che per le loro dimensioni ridotte non si prestano al classico porzionamento e vengono quindi cucinati interi, richiedendo tempi di cottura più lunghi. Anche per questo non incontrano la preferenza di tutti i consumatori, ma solo di una nicchia.
Per soddisfare la richiesta del “lenta crescita” alternativo al “broiler” (il più efficiente pollo convenzionale) l’industria avicola ha due possibilità:
1- Tornare ad utilizzare razze tradizionali rustiche come la tipica Livornese di un tempo e la Bionda di Villanova, con elevati costi di allevamento che si riverserebbero sul prezzo finale
2- Sviluppare nuove razze lente, selezionando opportunamente gli animali in modo da scegliere ancora quelli più efficienti per rispondere sia alla richiesta degli animalisti sia degli allevatori cercando di ridurre i costi di produzione e quindi il prezzo allo scaffale.
Quest’ultima (sviluppare nuove razze lente) è una scelta che alcuni allevatori stanno portando avanti in autonomia. In genere i polli a crescita lenta hanno maggiori costi, rispetto al convenzionale perché mangiano e bevono di più e crescono di meno. Questi maggiori costi ricadono inevitabilmente sul listino finale e rappresentano una sfida che in Italia alcuni consorzi di allevatori stanno cercando di intraprendere, come per esempio quello indicato a questo link:
https://zootecnicainternational.com/featured/increased-interest-slower-growing-broiler-ranger-gold/