Agevoliamo qui il passo di un articolo di ALVANE, un genetista che già nel 2017 analizzava le questioni inerenti i polli a crescita lenta osservandone una certa ideologia ipocrita. Un’ideologia che anche oggi persevera e tiene banco per questioni tutte collegabili a richieste degli animalisti più estremisti che riescono a forzare, peggiorandole, le pratiche di efficienza e sostenibilità conquistate negli anni dalla ricerca.
Grazie alle capacità della ricerca genetica, sempre attiva nel settore avicolo, certe scelte forzate sono conosciute e possibili anche se appartenenti a soluzioni “scartate” per via degli effetti collaterali di impatto ambientale ed economico.
Alcune aziende e la GDO assecondano queste ideologie per evitare l’assedio disturbante di chi vede negli allevamenti intensivi il male assoluto.
Sono aziende costrette però a trovare argomentazioni e narrative alternative a quelle convenzionali per giustificare i maggiori costi al consumatore che inevitabilmente si generano. Scelte di sopravvivenza commerciale, legittime ma necessariamente orientate a nicchie di mercato costituite da persone che possono permettersi scelte più costose “suggerite” da organizzazioni animaliste visionarie. Leggendo il passo che vi sottopongo -e i collegamenti in calce- capirete meglio:
“…Secondo la Global Animal Partnership (GAP), un’organizzazione creata da Whole Foods per definire standard di benessere per i suoi fornitori, sembra aver deciso arbitrariamente che “crescita più lenta” sia pari o inferiore a 50 grammi di peso guadagnato per pollo al giorno in media durante il ciclo di crescita, rispetto all’attuale media del settore per tutti i polli di circa 61 grammi al giorno. Ciò significa che per raggiungere lo stesso peso di mercato, i polli dovrebbero rimanere nell’allevamento significativamente più a lungo, 58 giorni anziché 44.
Non serve essere un genio per capire che i polli a crescita lenta richiedono più mangime per chilo di crescita (il rapporto di conversione alimentare (FCR) è 2,2 per i polli a crescita lenta, contro 1,9 per la media del settore). In totale, l’impatto dell’adozione di polli a crescita lenta è un aumento del 34% del mangime per chilo di carne di prima qualità, un aumento del 40% dei galloni d’acqua e un aumento del 53% del letame per pollo commercializzato, e un aumento del 49% dei costi per pollo commercializzato. Quindi, in un colpo solo, questa decisione ha aumentato drasticamente l’impatto ambientale della produzione di polli da carne, passando intenzionalmente a un pollo di tipo “Hummer” anziché a un “Prius”.
E a quale scopo viene compiuto questo grande passo indietro in termini di sostenibilità? Teoricamente per il benessere animale. Ma ciò che manca in questa discussione è il motivo per cui una crescita più lenta equivale a un benessere migliore. Perché una crescita con un aumento di peso inferiore a 50 grammi al giorno per pollo per 58 giorni è migliore per il benessere rispetto a una crescita con 61 grammi al giorno per 44 giorni? Dov’è la base oggettiva e probatoria a supporto di questa affermazione? Non cambia nient’altro nel modo in cui i polli vengono allevati, restano solo in vita per altri 14 giorni prima della macellazione. …”
Chi volesse leggere l’articolo completo, corredato da dati di approfondimento, lo trova qui:
https://biobeef.faculty.ucdavis.edu/2017/02/08/are-slow-growing-chickens-better/
Qui invece alcuni articoli di approfondimento sul tema dal nosrto blog antifake che vi invitiamo a leggere e a seguire:
https://nutriamocidibuonsenso.it/cosa-si-intende-per-pollo-a-crescita-lenta/
https://nutriamocidibuonsenso.it/lavicoltura-e-il-paradosso-della-ricerca-della-sostenibilita/