Pollo o carne rossa? Carne o vegetali?

Bianca, rossa, verde … con questo articolo (che premettiamo è un po’ “lungo”, ma anche molto completo), ci addentriamo prima nel tema delle differenze tra carne di pollo e carne rossa, sia dal punto di vista nutrizionale che dell’impatto ambientale, poi su un confronto con i vegetali (considerando sia quelli destinati alle persone sia quelli destinati agli animali) e il loro impatto ambientale.

Faremo anche un approfondimento sulle implicazioni determinate dai diversi usi del suolo e noterete che le differenze sono significative, specialmente sul fronte ecologico.

Le informazioni che forniamo qui sono solide e basate su “consensus scientifico” su cui ci siamo lungamente documentati. Potete considerarle quindi degne di fiducia e siamo pronti a difenderle sulla base del fatto che si riferiscono ad una relazione di scala e di efficienza dei sistemi e non su singoli numeri assoluti.

Siamo tuttavia sempre disponibili a confrontarci con strutture accreditate e scientificamente strutturate e riconosciute per apportare eventuali adeguamenti di quanto riportato.

Alla fine di questo articolo troverete anche una nota più precisa sul perché i nostri contenuti sono attendibili (il capitolo si intitola: Note sull’attendibilità dei nostri contenuti”).

 

Iniziamo:

Confronto sull’apporto nutritivo

Entrambi i tipi di carne sono eccellenti fonti proteiche, ma differiscono notevolmente per il contenuto di grassi e micronutrienti essenziali riassunti in questa tabella:

 

Punti chiave nutrizionali

Il pollo vince sui grassi (è più magra) – La carne di pollo (in particolare il petto senza pelle) è la scelta più magra. Contiene meno grassi totali e soprattutto meno grassi saturi, rendendola preferibile per la salute cardiovascolare e per regimi alimentari a basso contenuto calorico.

La carne rossa vince sull’apporto di Ferro e B12 – La carne rossa è una fonte superiore di Ferro eme (la forma più facilmente assorbibile dall’organismo), zinco e Vitamina B12. Questi nutrienti sono cruciali per la produzione di energia e la formazione del sangue, e rendono la carne rossa importante per chi soffre di carenze, come le donne in età fertile.

Confronto sull’impatto ambientale

Il confronto sull’impatto ambientale è nettamente a favore della carne di pollo. Le differenze sono determinate principalmente dalla biologia degli animali e dall’efficienza della produzione.

Gas serra (impronta carbonica)

L’impatto maggiore è legato alla produzione di carne bovina, che è la principale fonte di carne rossa.

Carne rossa (manzo e agnello)

L’impronta di carbonio è estremamente elevata. Questo è dovuto principalmente ai ruminanti (bovini e ovini) che producono grandi quantità di metano, un gas serra con un potenziale di riscaldamento globale molte volte superiore alla CO2. La digestione in questi animali è la causa principale delle emissioni.

Carne di pollo

L’impronta di carbonio è significativamente inferiore. I polli sono animali non ruminanti, non producono metano in modo significativo e hanno un ciclo di vita molto breve. Le emissioni sono legate principalmente alla produzione del mangime e alla gestione degli allevamenti.

 

Uso del suolo e dell’acqua

Carne rossa

Richiede vaste aree di terra per il pascolo e per la coltivazione del mangime (soia, cereali). L’impatto sull’uso del suolo e sulla deforestazione (soprattutto per l’allevamento estensivo) è molto alto.

Carne di pollo

L’allevamento intensivo e semi-estensivo è molto più efficiente in termini di spazio.

 

Efficienza di conversione del mangime (FCR)

L’FCR misura la quantità di mangime necessaria per produrre 1 kg di carne:

Pollo

Ha un FCR molto basso e una crescita rapida, richiedendo in proporzione molto meno mangime rispetto ad altri animali.

Manzo

Ha un FCR molto alto, il che significa che richiede una quantità di mangime notevolmente superiore per produrre lo stesso chilogrammo di carne.

In sintesi, la carne di pollo è generalmente considerata l’opzione con il minor impatto ambientale tra tutte le carni rosse e bianche, mentre la carne bovina (la principale carne rossa) è quella con l’impronta ecologica più pesante.

Estendiamo ora il confronto nutrizionale e ambientale alla carne in generale (rossa e bianca) rispetto ai prodotti vegetali destinati all’alimentazione umana.

In seguito esamineremo la destinazione delle coltivazioni agricole (per l’uomo e per gli animali).

Confronto nutrizionale: carne vs. prodotti vegetali

Il confronto qui non è tra un alimento migliore dell’altro, ma tra le funzioni nutrizionali che svolgono in una dieta bilanciata.

Carne (generica)

Punto di forza: è una fonte completa di proteine ad alto valore biologico, contenente tutti gli amminoacidi essenziali necessari all’organismo. Fornisce anche nutrienti chiave in forma altamente biodisponibile.

Macronutrienti chiave: proteine, grassi saturi (variabili).

Micronutrienti chiave: Vitamina B12 (assente nei vegetali non fortificati), Ferro Eme, Zinco.

Prodotti vegetali (legumi, cereali, frutta, verdura)

Punto di forza: sono la fonte primaria di fibre, vitamine (come la C, E, K e folati), minerali (come Magnesio e Potassio) e antiossidanti. Contengono carboidrati complessi per l’energia e grassi insaturi sani.

Macronutrienti chiave: Carboidrati, Fibre, Grassi Insaturi.

Micronutrienti chiave: Vitamina C, Acido Folico, Magnesio.

Riassumiamo con una tabella:

 

Confronto ambientale: carne vs. prodotti vegetali

Dal punto di vista ecologico, il divario tra la produzione di carne e la produzione agricola vegetale è il più grande e il più criticato.

La produzione di carne in generale richiede molte più risorse per unità di prodotto commestibile rispetto alla coltivazione di vegetali destinati al consumo umano. Questo è dovuto alla “Legge di conservazione dell’energia” e cioè: ogni volta che l’energia (mangime vegetale) viene trasferita a un livello trofico superiore (l’animale), gran parte di essa viene persa sotto forma di calore, escrementi e processi vitali (respirazione, movimento).

Riassumiamo con una tabella:

 

Impatto delle coltivazioni per umani vs. coltivazioni per animali

Questo è il punto cruciale dell’impatto ambientale globale: la destinazione delle terre agricole.

La maggior parte del terreno agricolo mondiale non è dedicata direttamente all’alimentazione umana, ma alla produzione di mangimi per l’allevamento (specialmente soia e cereali) … destinato all’alimentazione umana (e di animali da compagnia).

 

Agricoltura per l’alimentazione animale (mangime)

Quota di suolo

Si stima che circa un terzo del terreno agricolo globale (arabile) sia destinato alla coltivazione di mangimi. Se si considera anche il pascolo, la percentuale di terra globale utilizzata per la produzione animale supera l’80%.

Impatti

Deforestazione

La coltivazione intensiva di soia e mais per mangimi è un fattore chiave nella deforestazione in regioni come l’Amazzonia.

Inefficienza

Un enorme volume di energia (sotto forma di mangime) viene “speso” per la produzione animale, rendendo il sistema energeticamente inefficiente se osservato su scala globale.

 

Agricoltura per l’alimentazione umana (cibo diretto)

Quota di suolo

Una porzione relativamente minore del terreno arabile mondiale è destinata a produrre cereali, legumi, frutta e verdura che consumiamo direttamente.

Impatti

Efficienza

Questo sistema è diretto e altamente efficiente. Ogni caloria o proteina coltivata arriva quasi interamente sulla tavola.

Sfide

Non è esente da problemi, come l’uso di fertilizzanti e pesticidi e l’uso intensivo di acqua per alcune colture.

 

L’impatto degli animali allo stato brado

È importante notare che l’impatto ambientale dei sistemi alimentari è quasi interamente guidato dall’allevamento domestico e dall’uso della terra per il mangime che ne deriva.

Gli animali allo stato brado (fauna selvatica) fanno parte dell’ecosistema naturale e non contribuiscono in modo significativo al carico di gas serra o all’uso del suolo che deriva dalla produzione alimentare umana. Il loro impatto è considerato neutro o benefico per la biodiversità e la salute del suolo, a meno che i loro habitat non vengano ridotti o alterati dall’attività umana.

In sostanza possiamo concludere che l‘agricoltura dedicata all’alimentazione animale ha un impatto ambientale indiretto, ma molto più grande, in termini di uso del suolo e impatto sul clima, rispetto all’agricoltura dedicata all’alimentazione umana diretta.

NOTA IMPORTANTE – Non possiamo trascurare un tassello fondamentale al quadro dell’uso del suolo agricolo e cioè “la destinazione di terra a coltivazioni per bioenergia” che rappresenta una variabile significativa e crescente, che compete direttamente con la produzione di alimenti per l’uomo e di mangimi per gli animali. Indichiamo quindi di seguito un dettaglio complementare al tema appena affrontato:

 

Coltivazioni per bioenergia (biofuel e biomasse)

Se il confronto originale lo abbiamo concentrato principalmente sul sistema alimentare (umano e zootecnico), l’emergenza energetica e le politiche di decarbonizzazione hanno però creato un terzo, potente fattore di competizione per la terra: la produzione di energia rinnovabile da biomassa agricola.

 

La competizione per il suolo

A livello globale, la stragrande maggioranza del terreno agricolo è ancora dedicata alla produzione alimentare (con la zootecnia che ne assorbe la fetta maggiore). Tuttavia, le colture energetiche dedicate stanno rapidamente guadagnando terreno, specialmente in contesti, come l’Unione Europea, dove esistono obiettivi vincolanti per l’energia rinnovabile:

Pressione sulla “Terra Arabile” – Le coltivazioni destinate a produrre biogas, biometano o biocarburanti (come mais, sorgo, colza, girasole) sottraggono direttamente terra che altrimenti potrebbe essere utilizzata per colture alimentari. Questo è particolarmente vero nei Paesi industrializzati o densamente popolati con limitata espansione agricola.

Impatto delle Politiche UE – La Direttiva Europea sulle Energie Rinnovabili (RED II) fissa obiettivi ambiziosi per l’uso di biocarburanti e altre bioenergie. Ad esempio, l’obiettivo UE è arrivare al 42,5% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, il che implica un notevole aumento della domanda di biomasse. Questa domanda, se non soddisfatta da residui e scarti, si traduce in una crescente necessità di colture dedicate.

 

Le sfide ambientali aggiuntive

La crescente domanda di colture energetiche non solo crea competizione con l’alimentazione, ma solleva anche preoccupazioni ambientali specifiche se gestita in modo non sostenibile:

Degrado del suolo – Spesso le colture energetiche dedicate sono coltivate in monocolture intensive (ad esempio, mais per il biogas), il che può accelerare l’erosione del suolo, ridurne la sostanza organica e aumentare la pressione sull’uso di fertilizzanti e pesticidi, problemi che l’agricoltura intensiva in generale già comporta (come riportato in studi sul suolo agricolo).

Impatto indiretto (ILUC) – Un concetto fondamentale in questo ambito è l’Impatto Indiretto sul Cambiamento di Uso del Suolo (ILUC). Se l’Europa dedica la sua terra alla produzione di biocarburanti, sposta la produzione alimentare in altre aree del mondo, potenzialmente portando alla deforestazione (conversione di foreste o pascoli in terreni coltivabili) al di fuori dell’UE per compensare, annullando in parte o del tutto i benefici climatici del biocarburante.

Quindi dobbiamo osservare che, mentre l’enorme fabbisogno di mangimi per gli allevamenti (l’80% se si considerano i pascoli) rimane il principale fattore di consumo di suolo agricolo, la domanda di biomassa per energia aggiunge un significativo fattore di stress, trasformando l’uso del suolo da un problema prevalentemente alimentare a un trilemma che coinvolge cibo, mangimi ed energia.

Per completare la nostra ricerca e offrire una panoramica anche per i più pignoli, possiamo approfondire i due punti cruciali che collegano le colture energetiche alla sostenibilità e all’uso del suolo agricolo con un approfondimento su ILUC e RED II/III.

 

Approfondimento su ILUC e RED II/III

Il concetto di ILUC (Cambiamento Indiretto dell’Uso del Suolo)

Quando si parla di biocarburanti (biodiesel, bioetanolo) e biometano da colture dedicate, la sfida maggiore non è solo quanto terreno occupano, ma cosa succede altrove per compensare.

ILUC (dall’inglese Indirect Land Use Change) è l’impatto ambientale indiretto che si verifica quando le colture destinate alla produzione di energia sostituiscono colture alimentari o mangimi in una data regione (ad esempio, l’Europa). Questo sposta la domanda di cibo/mangimi in un’altra area del mondo, come il Sud America o l’Asia.

Per ovviare alle conseguenze di questa domanda spostata, gli agricoltori in quelle regioni sono incentivati a convertire aree non agricole, come foreste, torbiere o pascoli, in terreni coltivabili.

Perché questo diventa un punto critico? La conversione di questi ecosistemi (specialmente foreste e torbiere) rilascia enormi quantità di carbonio immagazzinato nel suolo e nella vegetazione, annullando spesso i benefici di riduzione delle emissioni che ci si aspettava dal biocarburante stesso.

L’ILUC è il motivo per cui le politiche UE tendono a favorire le biomasse e i biocarburanti ottenuti da rifiuti, residui (come olio da cucina esausto o scarti agricoli) e colture non alimentari (alghe o colture coltivate su terreni degradati), considerandoli a minor rischio ILUC.

Le politiche europee e le loro implicazioni

Le direttive europee (come la RED II – Renewable Energy Directive) sono il motore principale della domanda di colture energetiche e definiscono le regole del gioco che riassumiamo in questa tabella:

 

Quindi, il dibattito non è più solo quanto terreno occupano, ma quale terreno e con quali conseguenze a livello globale.

Vediamo anche come sia importante considerare uno dei nodi cruciali della sostenibilità in Europa e cioè l’intersezione tra le politiche energetiche, l’uso del suolo e la sicurezza alimentare.

Il legame tra i concetti di ILUC e RED II/III con la competizione per la terra agricola è diretto e quantificabile, soprattutto a livello europeo.

 

La competizione diretta “per il piatto”: i numeri europei

Il modo più evidente con cui le politiche sui biocarburanti competono con la filiera alimentare è attraverso l’uso diretto di colture alimentari e foraggere:

La superficie sottratta – Si stima che circa 9,6 milioni di ettari (9,6 milioni di ha) di superficie agricola all’interno dell’Unione Europea vengano utilizzati per coltivare materie prime (come colza, mais, grano e soia) destinate alla produzione di bioetanolo e biodiesel (e in parte anche biometano).

L’impatto sulla sicurezza alimentare – Questa superficie è stata equiparata a quella necessaria per sfamare circa 120 milioni di persone. Il problema non è quindi la carenza assoluta di cibo, ma il fatto che la destinazione di queste colture al serbatoio di carburante anziché alla tavola (umana o animale) crea una pressione al rialzo sui prezzi delle commodities alimentari e genera una domanda che deve essere soddisfatta altrove.

L’impatto sulla filiera animale – Gran parte di queste colture sono oleaginose (colza, soia) o cereali (mais). Nel contesto europeo, la soia e il mais sono componenti essenziali dei mangimi per gli allevamenti intensivi. Se l’UE sceglie di bruciare queste colture per produrre energia, aumenta la dipendenza dalle importazioni di mangimi (spesso soia da paesi ad alto rischio di deforestazione), aggravando indirettamente il problema di cui abbiamo parlato inizialmente (il consumo di suolo per l’alimentazione animale).

Il ruolo critico dell’ILUC nel contesto europeo

Il concetto di ILUC (Cambiamento Indiretto dell’Uso del Suolo) è il meccanismo con cui la politica energetica europea esporta l’impatto ambientale della sua domanda di biocarburanti che si manifesta con:

  • L’effetto spiazzamento (Land Displacement): un agricoltore europeo decide di coltivare colza per il biodiesel perché garantisce un prezzo sussidiato (spinto dalla politica energetica). Questo riduce l’offerta interna di colza o mais per l’alimentazione animale. Per compensare, l’industria dei mangimi importa più soia o olio di palma da Paesi extra-UE (es. Brasile, Indonesia).
  • Le emissioni nascoste: in questi Paesi, per fare spazio alle coltivazioni di soia o palma (che non provengono necessariamente dall’Europa), vengono convertite foreste o aree ad alto contenuto di carbonio (come le torbiere). Le emissioni di CO₂ derivanti da questa deforestazione o conversione sono le emissioni ILUC.
  • L’inefficienza climatica: questo impatto nascosto può essere così elevato da rendere i biocarburanti, derivati da colture dedicate, peggiori per il clima rispetto ai carburanti fossili che dovrebbero sostituire.

La risposta Regolatoria Europea (RED II e RED III)

Riconoscendo questa competizione e il rischio ILUC, l’Unione Europea ha modificato le sue politiche (in particolare con la Direttiva sull’Energia Rinnovabile – RED II, e la sua revisione RED III) con:

  • La limitazione delle colture “Food vs. Fuel”: la RED II ha introdotto un limite e un graduale phase-out (eliminazione progressiva entro il 2030) per i biocarburanti derivati da materie prime classificate come ad alto rischio ILUC. Esempio emblematico è lolio di palma che è stato il primo a essere classificato come ad alto rischio ILUC e per questo in fase di eliminazione dagli incentivi per i biocarburanti.
  • La promozione degli “Avanzati”: l’UE spinge per i cosiddetti biocarburanti avanzati o di seconda generazione. Questi sono prodotti da: Rifiuti e Residui come olio da cucina esausto (UCO), grassi animali, scarti forestali o residui agricoli; Colture non alimentari come alghe o colture coltivate su terreni degradati (che non competono con la produzione di cibo o mangimi).

L’obiettivo futuro? L’intento della legislazione più recente (RED III) appare chiaro: disaccoppiare il settore energetico da quello agricolo in termini di uso del suolo, incentivando le fonti energetiche rinnovabili che non entrano in competizione diretta o indiretta con la produzione di cibo e mangimi.

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Note sull’attendibilità dei nostri contenuti

Perché siamo attendibili

In un dibattito come quello sul sistema alimentare, l’attendibilità delle informazioni è tutto. I contenuti presentati sono attendibili perché riflettono il consenso scientifico e le statistiche ufficiali sugli impatti nutrizionali e ambientali del cibo che il nostro sito analizza e studia costantemente con i consueti obiettivi di non farci influenzare dalle notizie strumentali, essere neutrali, chiari e a disposizione di chi apprezza il nostro lavoro e cerca approfondimenti e riflessioni non riscontrabili altrove.

L’attendibilità di queste analisi si basa su due pilastri principali: i dati nutrizionali standardizzati e le metriche d’impatto ambientale riconosciute a livello globale.

I dati nutrizionali (carne vs. vegetali) che abbiamo fornito

I dati provengono da tabelle di composizione degli alimenti stilate da enti di ricerca nazionali e internazionali (come l’USDA negli Stati Uniti o il CREA in Italia) e da linee guida di organizzazioni sanitarie pubbliche.

I contenuti su ferro Eme, vitamina B12 (esclusiva dei prodotti animali) e le differenze di grassi saturi nella carne di pollo rispetto al manzo non sono oggetto di dibattito; sono fatti biochimici e nutrizionali consolidati. Eventuali critiche possono riguardare solo la specifica porzione analizzata (ad esempio, se si confronta pollo con pelle o carne rossa estremamente magra), ma non il principio generale.

I dati sull’impatto ambientale (il contesto più critico) che abbiamo fornito

L’analisi ambientale su cui abbiamo fatto ricerca per questo articolo si basa sulla metodologia Life Cycle Assessment (LCA), o “Valutazione del Ciclo di Vita.”

Fonti scientifiche

La gerarchia dell’impatto (Manzo > Suino/Pollo > Vegetali) è stabilita dalle analisi e dai report di grandi organizzazioni intergovernative, come:

FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura) che ha condotto studi esaustivi sull’impatto dell’allevamento, in particolare sulle emissioni di gas serra.

Studi accademici globali – La maggior parte delle pubblicazioni di alto livello (ad esempio, studi pubblicati su riviste come Science e Nature) confermano la sostanziale differenza di impatto tra ruminanti (alti in metano e uso del suolo) e non ruminanti (bassi).

Che critiche sappiamo potrebbero giungere ai nostri contenuti?

Sappiamo che il nostro modo di ricerca e documentazione neutrale può attirare critiche da chi ritiene di dover difendere a priori le proprie posizioni. Siamo abituati a queste situazioni che in effetti si presentano di frequente. Siamo infatti preparati al punto che possiamo prevedere quali critiche potrebbero giungere. Eccone alcune con le risposte che daremmo (e che tuttavia diamo già qui):

Critica potenziale: “I numeri ambientali sono esagerati.”

La nostra risposta: Riconosciamo che i numeri assoluti (ad esempio, 10 kg o 20 kg di CO2e per kg di carne) possono variare a seconda del metodo di calcolo. Tuttavia, la gerarchia di impatto (la carne bovina inquina molto di più del pollo, che a sua volta inquina molto di più della soia) è un consenso scientifico inconfutabile.

Critica potenziale: “L’agricoltura estensiva/rigenerativa non è considerata.”

La nostra risposta: Sebbene sia vero che l’agricoltura rigenerativa può ridurre l’impatto ambientale, la maggior parte del mercato opera ancora con sistemi convenzionali. Scientificamente, i benefici di queste pratiche, sebbene esistano, non sono sufficienti a invertire la gerarchia di impatto ambientale tra l’allevamento di bovini e quello di polli/ortaggi su larga scala.

Critica potenziale: “I prodotti vegetali non forniscono nutrienti completi.”

La nostra risposta: desideriamo mantenere un certo equilibrio anche in questa risposta e quindi diciamo che è un dato di fatto che le proteine ​​vegetali (come quelle dei legumi) sono complete solo se combinate. Ciò non ne diminuisce l’importanza, ma evidenzia che una dieta è efficace quando è equilibrata e basata sulla sinergia tra diverse fonti alimentari.

Critica potenziale: “L’agricoltura inquina con pesticidi/fertilizzanti.”

La nostra risposta: questo è vero, ma l’impatto climatico dell’agricoltura è dominato dall’uso di fertilizzanti azotati. Tuttavia, la maggior parte di questi fertilizzanti viene utilizzata per coltivare mangimi per animali, rendendo il problema indirettamente legato all’allevamento del bestiame.


Ricordiamo che siamo sempre disponibili a confrontarci con strutture accreditate e scientificamente strutturate e riconosciute per apportare eventuali adeguamenti di quanto riportato.

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Autore: Staff